[Palazzo Milzetti, Sala Numa Pompilio, particolare del soffitto]
ARGO: IL CANE AI TEMPI DELLA MITOLOGIA
ARGO, IL FEDELE COMPAGNO A QUATTRO ZAMPE DI ULISSE
La storia di Ulisse e del suo fedelissimo Argo la conoscono tutti, anche senza un’approfondita conoscenza dell’Odissea di Omero. E’ una testimonianza di fedeltà e amore che unisce il cane e al suo padrone; una testimonianza datata quasi tremila anni, che inizia con l’adozione da parte di Ulisse di un cucciolo, cosicché possa essere aiutato nella caccia.
Ma il destino presto li divide, Ulisse deve abbandonare Itaca, la moglie Penelope, il piccolo Telemaco e il cucciolo, per mettersi in viaggio alla volta di Troia e di mille altre avventure.
L’ultimo incontro tra i due avviene al ritorno di Ulisse, vent’anni dopo la sua partenza. Ulisse, finalmente tornato a casa, è irriconoscibile, la dea Atena infatti lo ha temporaneamente trasformato in un mendicante per passare inosservato ai Proci, che hanno invaso la sua casa.
Tuttavia, nonostante il camuffamento, l’unico a riconoscere Ulisse è proprio Argo, ormai vecchio e debole, ma con energie sufficienti per salutare un’ ultima volta il proprio padrone, prima di lasciare la vita, tra le lacrime di Ulisse.
Ecco la traduzione di Giuseppe Tonna in cui Omero racconta l’ultimo emozionante incontro tra Ulisse e Argo
“E a lui rispondeva il paziente divino Odisseo: “Capisco, intendo bene: già ci pensavo anch’io a quello che dici. Vai tu avanti, io rimarrò qui. Non sono senza esperienza di percosse e di colpi. Forte è il mio cuore, poiché ho sofferto molti guai tra le onde del mare e in guerra: e insieme agli altri venga anche questo. Il ventre non è possibile farlo tacere quando ha fame: questo maledetto ventre che procura agli uomini tanti malanni, per il quale si armano anche le navi sul mare, a recar danno ai nemici.
Così essi parlavano tra loro. E un cane levò in su la testa e le orecchie, pur rimanendo sdraiato. Era Argo, il cane del paziente Odisseo, che un giorno egli si era allevato, ma non se lo poté godere: partiva prima per la sacra Ilio. In altro tempo se lo menavano i giovani a caccia di capre selvatiche, di cerbiatti e di lepri. Allora giaceva abbandonato, poiché era lontano il suo padrone, su di un mucchio di letame di muli e di buoi: davanti la porta del cortile esso stava raccolto in abbondanza, fino a quando i servi di Odisseo lo portavano via per concimare il vasto podere.
Là giaceva il cane Argo, pieno di zecche.
E allora, appena sentì che gli era vicino Odisseo, prese a dimenare la coda e lasciò cadere tutt’e due le orecchie: ma andargli più da presso, al suo padrone, non poté. E lui si volse a guardare da un’altra parte: si asciugò le lacrime senza farsi scorgere da Eumeo. E subito gli chiedeva: “Eumeo, è una meraviglia questo cane che giace sul letamaio. Bello è di corpo, ma non so bene se era anche veloce a correre, oltre ad avere questa sua bellezza, oppure se era così come sono i cani da mensa: solo per lusso li allevano i signori”.
E a lui rispondevi, Eumeo porcaro: “Oh, sì, è il cane questo di un uomo morto lontano. Se fosse ancora, nel corpo e nella bravura, quale lo lasciava Odisseo partendo per Troia, subito lo ammireresti a vederne la prestezza e la forza. Non gli sfuggiva, sai, pur nel cuore di una selva profonda, fiera che egli inseguisse: anche per le peste era molto bravo. Ora è oppresso dalla miseria: il suo padrone morì lontano dalla patria, le ancelle negligenti non lo curano. I servi , quando non comandano più i padroni, non hanno voglia di fare il loro dovere: a un uomo, credi, metà delle sue buone doti gliela toglie Zeus, quando lo raggiunge il giorno della schiavitù”. Così parlava. Ed entrò nel palazzo: andò dritto nella grande sala in mezzo ai Proci. Ed Argo lo colse il destino della nera morte, non appena veduto Odisseo dopo venti anni.”
Omero, Odissea, Milano, Garzanti, 2006, libro I, pp.1-3. Traduzione di Giuseppe Tonna.
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